Il tema fondamentale del personaggio e della tragedia di Fedra è l’amore. Ma bisogna intendere bene di che tipo di amore si tratta. La parola latina che Seneca adopera più spesso per descrivere lo stato d’animo di Fedra è furor, che significa pazzia ma anche, e in misura ugualmente importante, passione violenta, delirio amoroso, desiderio sfrenato. Una visione dell’amore che ci invita a cancellare le incrostazioni romantiche e sentimentali che su questo tema si sono depositate.
L’amore è qui inteso, letteralmente, come qualcosa da cui si viene posseduti, un virus che inizia a riprodursi nel corpo senza il nostro assenso. Ma la malattia è solo una parte del furor da cui Fedra è presa. L’altra è l’eccitazione, l’esaltazione, la promessa di felicità che le viene dal pensiero di poter godere del corpo del figlio e di poter condurre con lui una vita piena di forza giovanile e di passione selvaggia, fatta di caccia alle bestie feroci, di amore della natura, di corsa a perdifiato nei suoi adorati boschi.
Di fronte a questo personaggio e alla sua tragedia - in questo consiste ancora oggi la sua attualità - siamo costretti a indietreggiare, ad abbandonare le nostre superficiali certezze di uomini moderni per porci, ancora una volta, la domanda che Platone si fa nel Simposio: che cos’è l’amore, chi è Eros?
Fedra, adattamento dalla tragedia di Seneca, è diretta da un regista coraggioso, capace di visioni sorprendenti della tradizione, come Andrea De Rosa. Laura Marinoni, sensibile e vibrante, in scena accanto a Luca Lazzareschi, dà corpo alla protagonista.
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