dal romanzo di Andrea Camilleri
riduzione e adattamento teatrale Andrea Camilleri e Giuseppe Dipasquale
scene Antonio Fiorentino
costumi Gemma Spina
musiche Massimiliano Pace
luci Franco Buzzanca
regia Giuseppe Dipasquale
con Pino Micol, Giulio Brogi, Mariella Lo Giudice, Gian Paolo Poddighe
e con Ester Anzalone, Valentina Bardi, Cosimo Coltraro, Fulvio D’Angelo, Massimo Leggio, Leonardo Marino, Margherita Mignemi, Rosario Minardi, Stefania Nicolosi, Giampaolo Romania, Sergio Seminara
Dieci anni dopo la prima edizione, lo Stabile di Catania riprende e rinnova per la stagione 2009-2010 un allestimento di grande successo, Il birraio di Preston, romanzo di Andrea Camilleri adattato per la scena dall’autore insieme a Giuseppe Dipasquale, che ne realizza una regia avvincente con un cast d’eccellenza.
La vicenda si svolge nella seconda metà dell’Ottocento in un piccolo paese siciliano, che nella topografia camilleriana è il solito Vigàta ma quasi un secolo e mezzo prima dell’avvento dell’ormai celebre Commissario Montalbano. A Vigàta si sta per inaugurare il nuovo teatro civico Re d’Italia. Il prefetto di Montelusa, paese distante qualche chilometro, detestato dagli abitanti di Vigata perché più importante e sede della Prefettura, s’intestardisce sull’idea di aprire la stagione lirica con Il birraio di Preston, melodramma di Ricci di scarso valore.
La scelta non è condivisa da nessuno ma il Prefetto obbliga ben due consigli di amministrazione del teatro a dimettersi pur di far passare quella che lui considera una doverosa educazione dei cittadini all’Arte, al Sublime. Si arriva quasi a una guerra civile tra le varie fazioni…
Camilleri, come ne La concessione del telefono, parte da una vicenda storicamente documentata, che reinventa e rinvigorisce con fantasia e gusto della sperimentazione linguistica.
“Come ormai sembra essere chiaro nello stile di Camilleri, il racconto parte da un fatto che vuole essere di per sé stupefacente, affabulatorio, misterioso e incantatore. Proprio come il c’era una volta dei bambini. E di un bambino si tratta: l’occhio innocente di un bimbo, per purezza nei confronti del mondo, per incontaminazione, per il suo essere fanciullino è il motore dell’azione. […] La Sicilia narrata da Camilleri non dimentica i morti, non dimentica i mali letali che cercano di consumarla inesorabilmente dal di dentro, non dimentica il tradimento verso valori appartenuti a se stessa quando era culla di una civiltà: questa Sicilia oggi può senza timore ricominciare a parlare di se stessa con la necessaria ironia e distacco, affinchè l'autocompiacimen¬to delle virtù come dei vizi e dei dolori, non costituisca lo stagno dal quale diviene difficile uscire”.
Giuseppe Dipasquale